lunedì, novembre 05, 2007

El purtava glié Sgalbar

una storia scritta da un mio amico

El se ciamava Neno.

El purtava gli Sgalbar perché erano gli anni 50, era appena finita la guerra e nei paesi di montagna il progresso stentava ad arrivare, gli Sgalbar si faceva in casa, bastava trovare un paio di scarponi vecchi, si recuperava la tomaia e la suola era già fatta; si andava nel bosco e si tagliava un tronco di Maggiociondolo e, a casa, con la sgorbia e altri attrezzi da marangone si procedeva a fare la pianta degli Sgalbar. Ci si metteva una correggia di ferro a lati e delle brocche fatte in Val di Ledro; in Val di Ledro sono famosi per le brocche per le scarpe.

Questo artificio di mettere le brocche sotto le scarpe e la correggia di ferra ai lati, evitava il consumo veloce del legno cosi gli Sgalbar duravano anche degli anni.

Si faceva un po’ fatica a camminare per via della suola di legno rigidissima e ad andare sulle montagne dove ci sono i graniti e non era poi cosi comodo, molte volte ci si trovava in fondo al masso di granito distesi sul fieno selvatico, per le frequenti scivolate .

El se ciamava Neno

era un uomo sulla cinquantina, almeno cosi credo, perche io l’ho visto sempre cosi, non invecchiava mai: testa rasata con i capelli tagliati ad un millimetro, faccia tondeggiante e un colore scuro derivato dal troppo sole che prendeva.

Non perche stesse in spiaggia in riva al lago ad abbronzarsi, ma pechè lui faceva il Fameii, lavorava per gli altri a giornata; ed era sempre in campagna o, sui sentieri della montagna, a fare il portatore .

Il suo carattere era buono non si arrabbiava mai.

Raramente, se non mai, lo ho sentito alzare la voce o imprecare.

Tutti i ragazzi del paese lo ciamavano con cordialità e, un po’, anche per prenderlo in giro.

Credo, per via della consanguineità dei genitori, fosse un po’ tardo di mente, o, forse, perche aveva dovuto abbandonare la scuola per guadagnarsi il companatico.

Quando la domenica si andava a messa cantata delle 10 e ai vespri delle 14 , lo si trovava sempre davanti alla porta degli uomini della chiesa.

Noi monellacci di 8 - 13 anni gli si correva incontro e, la prima domanda che gli facevamo era questa “ quant’ agn ghet Neno “ (quanti anni hai Neno ), lui con un sorriso che andava da un orecchio all’altro rispondeva la solita frase ”tant’agn coma la Maria de Mori“.

Non avendo ricevuto una risposta che soddisfacesse la nostra curiosità, gli si chiedeva “quant’ agn a ga la Maria de Mori?“

E lui di rimando “tancg coma mi“.

Credo che nessuno dei noi ragazzi sapesse in che anno era nato, solo, quando son diventato adulto, ho scoperto in che anno era nato, siccome la Maria de Mori era dello stesso anno di mia nonna Annetta, anche lui era del 1896 .

Si raccontava che un giorno era presso una famiglia benestante, per del lavoro nella campagna di Storo, gli amici vedendolo un po’ più paffutello del solito gli chiesero: ” Come ti trattano i signori. ti danno da pranzo manicaretti squisiti.” “Certamente, tutti i giorni cambiano menù, pensate, che ieri, per farmi contento, mi hanno arrostito un pollastro, mai mangiato niente di cosi speciale. Povero pollastro, il giorno prima era morto di “tabarelo“.(malattia dei pulcini quando prendono la pioggia freddissima)”.

Indagando un po’ più approfonditamente si venne a sapere che era un pulcino morto .

InfinitI altre aneddoti su di lui si raccontavano nelle notti invernali, racchiusi nelle stalle a far filo, era un argomento molto interessante e ci si divertiva .

Ma il ricordo che non riesco a cancellare dalla mia memoria, è: quando alla messa cantata della domenica, passava il Monich (quello che raccoglie l’elemosina) con il suo bastone e saccoccia di stoffa a raccogliere l’elemosina; ebbene, lui che avrebbe avuto bisogno di ricevere, metteva la mano nella tasca dei pantaloni e usciva con le sue 10 Lire e le offriva con un sorriso di soddisfazione. Credo che pensasse fra sé: “anche oggi ho fatto il mio dono come tutti gli altri, per il pranzo di domani... qualcheduno provvederà. “

Tutte le volte che ho assistito alle messe sia in Latino che in Italiano, le sue 10 lire son cadute nella saccoccia del Monich.

Non era un Uomo guida della nostra comunità, ma credo che molti uomini della mia generazione abbiano apprezzato la sua semplicità e onestà nelle cose piccole, e ne traggano ancora esempio nella loro esistenza, per non perdere il passo del nostro cammino, in questi tempi di furbacchioni che cercano di accumulare ricchezze, su ricchezze .

Un giorno quando mi presenterò alla porta di S. Pietro lo troverò dietro di lui, nel paradiso dei contadini e dei fanciulli, con le sue vecchie 10 lire che ora sono diventate il tesoro più importante per lui.

Se avrò la fortuna di passare anche quell’ultimo esame, sono sicuro che assieme al mio papà e a mio fratello Luigino, ci sarà anche lui a farmi da guida ai pascoli e alle montagne della nostra immaginazione.





El purtava glié Sgalbar. e l’ erà un gran porr diaol,

El se ciamava Neno , el magnava un posì mort de tabarelo

Ma a tutte le msse al metteva 10 franc nel sacatt del monich

Quat’ ang ghet Neno .

Taing coma la Maria de mori

E la Maria de Mori quat’ agn la ga

Tant’ co’ ma mi

citan citando

pace

pace